martedì 12 febbraio 2013

Giornalismo 2.0, i web-documentari sono il futuro?




Tra le nuove forme di giornalismo nate negli ultimi anni è di certo interessantissimo il web-documentario, un’evoluzione del vecchio concetto di ipertesto , che mischiando video, foto, testi e animazioni, proietta lo spettatore all’interno della storia portandolo ad agire in prima persona. Qualcosa di simile a ciò che avviene nei videogiochi, ma qui applicato al raccontare una storia e fare informazione.

Tra i più innovativi autori di questo genere c’è Samuel Bollendorff che ha utilizzato i web-documentari per raccontare storie molto diverse tra di loro, dalle miniere di carbone in Cina al problema dell’obesità. Il primo, ad esempio, ci porta alla ricerca della verità sulle condizioni di vita dei lavoratori nelle miniere di una Cina in forte espansione e in cui, però, gli incidenti sul lavoro sono all’ordine del giorno. Seguendo il racconto possiamo interagire con varie persone, intervistarle, andare a guardare nei luoghi per cercare di entrare nella miniera e renderci conto davvero di cosa accade. È lo spettatore a decidere cosa fare, dove andare e dove finire il proprio viaggio.

Di certo siamo di fronte a un modo accattivante di raccontare storie, che invita a esplorare e conoscere e, si spera, anche ad agire nel mondo reale. Il seguire questi percorsi multimediali, infatti, dovrebbe essere uno sprone a percorrere le stesse modalità nella vita quotidiana, stimolando l’interazione con chi ci sta vicino e cercare storie da raccontare. Forse questa forma di narrazione non è ha portata di tutte le tasche, visto che occorrono cospicui badget per coprire i costi di queste operazioni, però anche forme più semplici, come degli slide show con video e testi, possono essere efficaci per trovare il proprio modo di fare un giornalismo stimolante e ricco di fascino.

Giornalismo, la seconda vita delle storie lunghe



La sintesi è da sempre considerata uno dei talenti fondamentali di un vero giornalista: pochi concetti asciutti, frasi brevi, andare dritto al sodo. Eppure la storia del reportage è piena di articoli lunghi e articolati, dove spesso l’autore diviene protagonista, esprimendo in prima persona i propri pensieri. Oggi le cose sono diverse e il giornalismo “lungo” è un po’ in crisi, per lasciare spazio a nuove forme di racconto multimediali, incrociando il testo con foto e video.   

In un interessante articolo pubblicato sul Columbia Journalism Review, il giornalista Dean Starkman ha puntato il dito contro i grandi giornali americani che hanno tagliato drasticamente lo spazio dedicato alle storie lunghe.
In un mondo in cui l’informazione viaggia veloce e le notizie si consumano come panini al fast food ecco che gli articoli estesi non portano attenzione ed entrate pubblicitarie. Meglio puntare su altro. Ma è davvero un male o soltanto il sintomo dei tempi che cambiano? Un’evoluzione del giornalismo è qualcosa di buono oppure la sua morte? Sono temi di grande attualità a cui è ancora molto difficile dare una risposta concreta e lo dimostra il grande dibattito scatenato dall’articolo. 

Di certo la nascita di nuove forme di narrazione a metà tra racconto, videogioco e documentario apre possibilità molto stimolanti per accrescere le nostre modalità di comunicazione, ma è pur vero che la potenza della scrittura per certi versi rimane ineguagliata. In questa corsa alla notizia rapida, alla galleria fotografica sorprendente, alle infografiche colorate ed esaustive, forse si perde il gusto per le storie, per i piccoli racconti di portata universale che spesso sono il cuore del grande giornalismo. Va bene dunque il connubio con il web, di cui certo non si può più fare a meno, ma sempre con una connessione con quel buon vecchio andare a cercare le notizie per la strada (sia pure telematica), oppure si rischia di diventare solo freddi rilanciatori di microcontenuti web. E i racconti dell’oggi si perderanno nel chiasso del nulla.

lunedì 21 gennaio 2013

Crisi dell'editoria, chiusura per quattro mensili Mondadori



Sembra che la crisi dell’editoria non risparmi proprio nessuno, neanche un colosso come la Mondadori. Oppure si tratta di un’abile mossa di ristrutturazione aziendale? Sembra che Ernesto Mauri, direttore generale periodici Mondadori, anche a capo di Mondadori France, abbia in mente una grande riorganizzazione del settore.

Ecco dunque che arrivano alla fine delle pubblicazioni i mensili Panorama Travel, Casa Viva, Ville & Giardini e addirittura Men’s Health, joint venture tra Mondadori e la casa editrice americana Rodale, che potrebbe cercare nuovi partner per continuare a far uscire il magazine. Per i 28 giornalisti delle testate chiuse, a parte direttori e vicedirettori, si prospetta ora l'ipotesi della cassa integrazione. 

Sarebbe comunque solo l’inizio della ristrutturazione: l'obiettivo finale, infatti, sarebbe quello di ridimensionare le redazioni di un centinaio di posti entro la fine del 2013 anche facendo ricorso a nuovi prepensionamenti. In quest’ottica viene prospettata anche la possibilità di chiudere definitivamente la Unità organizzativa redazionale (Uor) tivù, che produce contenuti per i periodici legati al piccolo schermo. Se a queste chiusure seguirà il lancio di nuove testate è difficile dirlo, ma di sicuro non sono buone notizie per il mondo dell’editoria nostrana.

Quotidiani, vendite a picco, dov’è la salvezza?



Poco più di due milioni e mezzo di copie. Questa è la diffusione nazionale di tutti i quotidiani (sia locali che nazionali) in Italia. Praticamente nulla considerando tutti i potenziali lettori del nostro Paese. I dati dell’Accertamento diffusione stampa (Ads) resi noti dalla Federazione editori e ripresi in un editoriale da L’Opinione, mostrano ancora una volta quanto sia grave la situazione dei giornali. A peggiorare la situazione, però, è la crisi economica che riduce gli investimenti pubblicitari, togliendo al settore la principale fonte di guadagno. 

Nei dati si legge che i dieci giornali più venduti in Italia in tutto non arrivano ai due milioni e trecentomila copie al giorno, che arrivano a due milioni e mezzo aggiungendo le vendite dell’altra sessantina di quotidiani nazionali e locali. Al primo posto c’è sempre lui, il Corriere della Sera, diretto da Ferruccio de Bortoli, con 396.069 copie (306.828 vendute in edicola, 82.294 in diversi canali e 6.947 abbonati); al secondo La Repubblica di Ezio Mauro con 357.811 copie vendute (340.039 in edicola, cioè più del Corriere, 13.556 in diversi canali e 4.276 abbonati); al terzo posto c’è il Sole 24Ore, il giornale economico della Confindustria ora diretto da Roberto Napoletano, che è arrivato a vendere 250.556 copie. Calano le vendite anche per i quattro quotidiani sportivi che insieme raggiungono le 619mila copie vendute al giorno, con un’ovvia crescita il lunedì.

Le cause rimangono le stesse: un grave problema di distribuzione (di cui avevamo già parlato in altri articoli), la scarsa propensione agli abbonamenti a causa dei ritardi della posta e, aggiungo io, di problemi condominiali, la percezione dei quotidiani come di oggetti vecchi e pieni di articoli poco interessanti e comunque lontani dal linguaggio contemporaneo. Si rafforza, insomma, la necessità di cambiare in un mondo in cui internet ha modificato tutto. Se i bilanci non vanno in totale perdita sembra dovuto solo ai ricavi che vengono dagli inserti, dai libri, dal web. I quotidiani, penso sia chiaro, devono tornare a diventare mezzi d’informazione utili e appetibili in un mondo dove le notizie non possono aspettare un giorno per essere ricevute e gli approfondimenti non devono essere leggibili solo dagli esperti del settore. Un nuovo modello è necessario, altrimenti la fine dei giornali non diventerà solo inevitabile, ma anche necessaria.

domenica 20 gennaio 2013

BuzzFeed e The Dish: sul Corriere si parla di giornalismo 2.0



In bilico tra carta e web, con un linguaggio in costante evoluzione e il vecchio mito dell’obiettività ormai sfaldato e relegato nel passato. Il giornalismo oggi è qualcosa di molto diverso da ciò che ancora viene insegnato nelle scuole e nei libri: il legame con le parole ‘giornale’ o ‘giornaliero’ diventano sempre meno importanti. Il giornalismo è ora, è rapido, è vicino alla gente, ed è scritto con un linguaggio familiare e ‘da strada’. Non bisogna, però dimenticarsi delle vecchie regole sempre valide e quindi non farsi accecare dal flusso di informazioni precotte del web, ma cercare le proprie storie da verificare con precisione. 

Sono solo alcuni spunti generati da due articoli comparsi oggi su La Lettura del Corriere della Sera. Il primo, a firma di Serena Danna, è un ritratto di Ben Smith, direttore di BuzzFeed, sito web che mischia in un cocktail irresistibile notizie trash (su tutte le gallery di foto di animali strani) a contenuti seri, pescando dai social media i trend, anche grazie a una attenta analisi statistica. Smith è passato da giornalista politico a mente dietro uno dei maggiori successi degli ultimi anni con 40 milioni di utenti unici al mese e un aumento di capitale di 19 milioni di dollari, dimostrando di aver compreso benissimo l’evoluzione del giornalismo nel mondo di oggi.

Il secondo articolo, di Marilisa Palumbo, parla di The Dish, il blog che Andrew Sullivan tiene dalla fine del 2000 e che dopo 6 anni di pubblicazioni in solitaria è diventata una piattaforma ricercata dalle grandi testate come il Time per poi ritornare oggi a correre da solo forte di moltissimi visitatori e da una redazione di 7 persone, tantissime per un blog. Da inizio febbraio poi una nuova rivoluzione: oltre un certo numero di contenuti i lettori dovranno pagare 19,99 dollari all’anno e se qui in Italia sembra una cosa assurda, invece all’estero si comincia a capire che le notizie sono un servizio che va pagato anche sul web, soprattutto se hanno un tocco personale impossibile da trovare altrove.  

Per approfondire queste due interessanti interviste vi consiglio di leggere il testo completo qui.