Un libro non si giudica dalla copertina, ma questo proverbio è vero fino a un certo punto, perché
soprattutto per una rivista la cover è di un’importanza strategica. Se ci
riferiamo al settore culturale poi ecco che la copertina crea l’oggetto, il
pezzo da collezione, quasi il multiplo d’arte. L’aveva capito Edith Schloss,
artista e critica d’arte, che ha fatto della testata Wanted in Rome il laboratorio
ideale per la sperimentazione della Cover Art, titolo della mostra che le viene
dedicata a un anno dalla scomparsa. La galleria TRAleVOLTE raccoglie fino al
prossimo 19 dicembre le copertine d’artista della testata e le opere originali,
sia quelle di Edith Schloss che degli artisti da lei invitati a intervenire. Ne
abbiamo parlato con Mary Wilsey, executive editor e tra i fondatori della
rivista in lingua inglese, punto di riferimento della comunità straniera di
Roma, approfondendo anche il tema della veste grafica e della distribuzione.
Per
cominciare raccontaci cos’è e come nasce Wanted in Rome.
“Wanted in Rome nasce nel 1985 quando chiude il Daily
American, lasciando un vuoto nella comunità anglofona di Roma. Non volevamo
fare un nuovo quotidiano, però, così siamo partiti con un quindicinale che
fornisse notizie utili e desse a questa comunità il modo di conoscersi, aggregarsi
e comunicare. Si volevano notizie di appartamenti in vendita o in affitto,
scuole di lingua, offerte di lavoro. Dieci anni dopo, nel ’95 è arrivato il
sito web, uno dei primissimi del genere. A quel punto anche il cartaceo doveva
cambiare”.
E il cambiamento è arrivato quando siete sbarcati in
edicola, vero?
“Sì, qualche anno fa abbiamo deciso di fare questo passo,
che si è rivelato più difficile del previsto. Prima la rivista era gratuita e
distribuita in vari punti della città, nei locali ad esempio, ma abbiamo capito
che la distribuzione era costosa, perché bisognava pagare qualcuno che andasse
in giro e così facendo, però, si riusciva comunque a coprire solo alcune zone. Il
nostro pubblico, invece, è vario e molto esteso in tutta la città. Abbiamo
deciso, così, di cercare un distributore per le edicole, ma è stato difficile,
perché quello della distribuzione in Italia, ma soprattutto a Roma, è un punto
dolente”.
Quali problemi avete affrontato?
“A Roma ci sono solo 3-4 distributori e non prendono in
considerazione la tua rivista se non è conosciuta. Ma come fa a essere
conosciuta se non è distribuita? La distribuzione poi avviene solo in edicola e
lì devi avere per forza un prezzo, così abbiamo smesso di essere gratuiti per
costare un euro. È difficile poi controllare i distributori, perché si dividono
le zone tra di loro e non si capisce bene dove il tuo giornale sarà davvero
reperibile, è complicato così essere ovunque. Anche per questo in Italia è
importante essere sul web, salti il distributore e arrivi a un altro tipo di
lettore”.
Però avete comunque deciso di conservare il cartaceo senza
rivolgervi soltanto alla rete, come mai?
“La carta è ancora viva perché ci sono molti affezionati che
la desiderano. La rivista di carta dura di più, si può leggere con attenzione,
guardare le immagini a lungo. In molti poi la collezionano, la trattano come un
oggetto importante. Anche per questo è sorto il problema delle copertine: in
edicola bisogna essere molto riconoscibili, quindi bisognava abbandonare le
nostre vecchie copertine in bianco e nero per fare qualcosa di accattivante.
Edith Schloss era una nostra collaboratrice, oltre che artista e critica, ha
fatto le copertine per noi per molti anni, poi abbiamo deciso di chiedere tramite
lei anche ad altri artisti delle opere che fossero comunque legate in qualche
modo alla città. L’idea ha avuto molto successo, tanto che a un certo punto
sono stati gli artisti stessi a proporsi. Con la morte di Edith ci siamo un
attimo fermati, ma ora stiamo riprendendo e a gennaio dovremmo avere di nuovo
una copertina di Luigi Ontani”.
Quanto è importante, dunque, la copertina per una rivista?
“È molto importante, rende distinguibili. Quasi tutte le
riviste la legano a ciò che c’è dentro, ma per noi non è così. Serve a
stimolare il dibattito, dare spazio agli artisti. In Italia si vedono solo
belle ragazze in copertina, ma non è una cosa che ci piace, preferiamo essere
diversi, anche se non mi sento di consigliare a tutti la nostra scelta, dipende
dal target. Una rivista di ingegneria, ad esempio, non può avere una copertina
d’artista”.
Qual è
dunque il target della vostra rivista?
“I lettori sono molto vari, non solo stranieri, ma anche
tanti italiani. Si va dal lettore affezionato che ti segue da anni dallo
studente Erasmus appena arrivato a Roma. Ci sono varie comunità che si
rivolgono a noi, tedeschi, filippini, indiani, sudafricani. È dunque sempre
difficile capire cosa può interessare: ci sono annunci di lavoro, critica d’arte,
ma anche notizie utili su come ottenere il permesso di soggiorno o il codice
fiscale. Ora la situazione è migliorata, ma quando abbiamo cominciato davvero
non si trovavano informazioni da nessuna parte!”.
Com’è la situazione italiana delle riviste rispetto a quella
inglese?
“Tutto è davvero molto diverso. Nel Regno Unito ci sono
tantissime riviste, spesso sullo stesso argomento, e poi ci sono i tabloid, che
per fortuna in Italia non ci sono. La verità e che qui è difficile arrivare al
pubblico sia per la distribuzione, come dicevo, ma anche il sistema postale
degli abbonamenti è molto faticoso dal punto di vista burocratico. Per avere
poi le sovvenzioni c’è una procedura lunghissima e complicata. L’accesso, così,
è più difficile. Anche per questo molti si rivolgono all’online. Le riviste
però conservano un pubblico che legge le notizie su internet ma cerca gli
approfondimenti. Così si hanno giornali con le notizie importanti tutte uguali,
ma se si va alle ultime pagine si trovano cose interessanti che spesso non ci
sono online. Purtroppo i quotidiani sono molto costosi da fare e la pubblicità
si sta riducendo. Non credo che spariranno, ma di certo hanno ancora molti
cambiamenti da affrontare”.
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