L’italiano sta morendo. No, non sto di certo parlando del
prototipo di uomo nazionale, donnaiolo, ladruncolo e attaccato alla mamma, ma
della lingua. Basta guardarsi intorno: quell’idioma, soprattutto scritto, che
hanno tentato di insegnarci a scuola sembra che non lo usi più nessuno. Non
solo il web e i social network con loro modo di esprimersi sintetico e molto
personale hanno plasmato il linguaggio in una forma più “rozza” ed efficace, ma
la mancanza di abitudine nella scrittura e nella lettura di giornali, libri e
riviste, ha privato della capacità di articolare testi complessi. Se questo,
però, è un fenomeno di certo non nuovo, mi ha lasciato molto perplesso l’infiltrazione
virale della lingua inglese in alcune riviste.
Sfogliando XL, mensile di Repubblica dedicato alla musica e
alla cultura giovane, mi sono trovato a leggere degli articoli zeppi di parole
in inglese che non sono necessarie ad arricchire il testo, ma soltanto a
renderlo più “cool” (tanto per giocare al loro gioco). Si tratta a volte di
intercalari, come “of course” invece di “ovviamente”, oppure intere frasi, come
citazioni o pezzi di canzoni, lasciati in lingua originale. Stiamo certo parlando
di una rivista rivolta a un pubblico giovane, abituato ad ascoltare musica in
inglese e che, si presume, questa lingua la padroneggi. Se questo ultimo punto
è tutt’altro che vero (la maggior parte dei giovani italiani purtroppo ha una
conoscenza dell’inglese molto rudimentale), sul primo si può essere d’accordo,
ma allora perché non scrivere direttamente in inglese?
Secondo il rapporto “La lingua italiana nell’era digitale”,
condotto dall’Istituto di linguistica computazionale del Cnr di Pisa e ripreso
in un recente articolo sul Corriere della Sera, o si investe o la lingua
italiana su internet è destinata a svanire. Nel nostro Paese la penetrazione del
web è del 51,7% e non è cresciuta di molto negli ultimi anni, mentre gli Stati
emergenti galoppano veloci. Poche persone che scrivono e usano l’italiano
significa meno peso della lingua sul web e quindi il rischio di cadere in
disuso nel canale maggiormente utilizzato. Il problema non vale solo per l’Italia,
ma per parecchie nazioni europee.
Questo fenomeno, in misura diversa, lo si può vedere anche
nelle riviste, soprattutto del settore culturale. Sono moltissime quelle che
hanno deciso di fare dell’inglese la propria lingua principale, relegando l’italiano
in fondo o in sottotitoli striminziti, o eliminandolo del tutto. La ragione è
ovvia: così ci si apre a un pubblico internazionale, molto più assetato di
riviste di settore di quanto non lo sia quello italiano, che legge sempre meno.
Insomma, i giornali chiudono per mancanze di risorse, le riviste diventano in inglese,
lingua privilegiata anche dal web, l’aumento dell’utilizzo di questo idioma
porta a vedere film in lingua originale e a leggere libri anglosassoni con le
parole usate dall’autore. Dov’è lo spazio per l’italiano? Anche la strada gli è
ormai negata: “Ti o semre amata” c’è scritto enorme sull’asfalto a Roma su
viale Libia, senza l’H e senza una P. Una distrazione o analfabetismo di
ritorno?
Nessun commento:
Posta un commento